“Arte automatica collettiva” è una delle definizioni più calzanti della forma d’arte che potrebbe essere praticata con l’AI image generation. Automatica, perché le immagini nascono attraverso automatismi realizzati in server da algoritmi non controllati direttamente dall’autore. Collettiva, perché la loro materia prima è l’immenso immaginario condiviso, anch’esso fuori dal diretto controllo individuale dell’autore. Paragonato all’artista surrealista, che lascia al suo inconscio una parte del ruolo autorale, l’inconscio che prende forma visibile grazie alle cosiddette tecniche di scrittura automatica, l’artista dell’AI generativa lascia una parte considerevole del processo produttivo all’inconscio collettivo, che in qualche modo ha preso forma nei grandi dataset che hanno addestrato i modelli AI. Come i Surrealisti, gli artisti generativi sfruttano automatismi di cui hanno parziale controllo come parte rilevante del fare artistico. Come i Surrealisti, che nel terzo decennio del Novecento dichiaravano di indagare l’inconscio recentemente scoperto da Freud, allo stesso modo gli artisti generativi indagheranno i meccanismi dei modelli di intelligenza artificiale. Probabilmente scoprendo analogie tra le regole del cosiddetto “lavoro onirico” descritte da Freud, e le regole che governano la generazione artificiale di immagini.