Ma a noi interessa capire alcune implicazioni profonde di questo processo, culturali, cognitive e artistiche, aldilà dei suoi aspetti tecnologici. Alcune ricerche artistiche all’inizio dell’epoca digitale, presentate presso la Biennale di Venezia del 1986, e al Gruppenkunstwerke di Kassel l’anno successivo, toccano alcuni di questi aspetti. La ricerca “pictomatica”, che indagava la sintassi dell’arte universale, organizzandola in reti logiche che anticipavano gli attuali algoritmi di generazione delle immagini mediante l’intelligenza artificiale. Queste opere sono tuttora interessanti, per la loro particolare natura concettuale e ideografica, utile per descrivere processi profondi che ancor attendono di essere rappresentati. Come appare dalle sue caratteristiche, che potremmo riassumere in testualità, accessibilità, universalità, concettualità, automazione, irrealtà, la generazione immagini con l’intelligenza artificiale si prospetta come una tecnologia dirompente, sia a livello di massa, sia nei confronti dei professionisti delle arti visive. Rivoluziona il modo di produrre immagini, la figura e il ruolo dell’autore, la natura della creazione visiva. Nonostante ciò, al momento non esiste molta letteratura che approfondisca questo fenomeno, a parte testi che denunciano l’inquinamento informativo e i rischi dei deepfake, o documenti e schemi che descrivono le varie metodologie di addestramento dei modelli. I primi passi dell’AI Image Generation sono stati effettuati agli anni Sessanta. Harold Cohen nel 1973 sviluppa il sistema AI Aaron, in grado di generare disegni in bianco e nero. Ma per identificare qualcosa di simile agli strumenti attuali, occorre arrivare al 2014, con la pubblicazione della prima GAN a opera di Ian Goodfellow. Nel 2021 OpenAI pubblica Dall-E, inaugurando il fenomeno di diffusione di massa ancora in atto.

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