Fin dalle origini l’Intelligenza Artificiale definisce la sua essenza nella imitazione dell’uomo. Nel 1950 Alan Turing, considerato il padre dell’AI, nell’articolo “Computing machinery and intelligence“, proponeva quello che sarebbe divenuto noto come “test di Turing”, descritto anche come “Imitation Game”. Secondo il test una macchina può essere considerata intelligente se il suo agire, osservato da un essere umano, risulta indistinguibile da quello di una persona. Nel gioco, riprodotto nello schema iconico sotto riportato, inizialmente A, B e C sono esseri umani che comunicano tra loro attraverso messaggi. In seguito, la persona A viene sostituita da una macchina, all’insaputa della persona C. Se C non è in grado di distinguere la macchina (A) dalla persona (B), siamo di fronte ad una macchina che possiamo considerare intelligente.

Turing affronta poi profonde questioni di natura filosofica, religiosa e logica sulle macchine pensanti, ma resta prevalente l’idea dell’”Imitation Game”: al di là delle controverse definizioni di pensiero o di coscienza, per Turing l’Intelligenza Artificiale può essere definita tale se riesce ad imitare efficacemente quella umana.

Alan Turing definisce l’Intelligenza Artificiale con la capacità di imitare l’uomo. L’”Imitation Game” resta l’interfaccia fondamentale con cui l’AI interagisce con gli utenti

L’immagine è rilasciata sotto licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0). Opera di Gualtiero e Roberto Carraro – Homo Extensus. Riportare citazione degli autori e link alla pagina originale.