L’arte contemporanea, con la sua libertà di espressione, il suo pensiero critico, la sua ricerca analitica profonda, e la sua innovazione rivoluzionaria, il suo profondo rapporto con i sensi e con la gestualità, si profila come uno degli antidoti agli effetti anti-umani delle intelligenze artificiali.

L’arte è da una parte una delle più efficaci strategie di “digital detox”, che recuperando l’intelligenza corporea si libera dai condizionamenti e della tecnologia. Disegnare, dipingere, scolpire, cantare, danzare, ci riconducono all’essenza di Homo Sapiens, ci connettono con gli altri uomini che lo hanno fatto da millenni sulla terra, lasciandoci meravigliose testimonianze di umanità e di bellezza.

E recuperano una parte fondamentale dell’essere umani, in cui l’intelligenza artificiale, incorporea, non entra.

Ma l’arte può essere usata anche con i dispositivi di intelligenza artificiale, prima di tutto per smascherarli.

Le opere d’arte contemporanea, con la loro connotazione provocatoria, possono servire per svelare, analizzare, denunciare e neutralizzare molti effetti speciali dell’AI, creati ad hoc dalle grandi aziende tecnologiche, in primis la sua pericolosa umanizzazione.

Ma per essere efficace, l’arte deve uscire dal suo cerchio elitario, e parlare direttamente a tutta la società. Per troppo anni l’ecosistema dell’arte contemporanea ha ristretto il suo target, parlando in modo ermetico un dialetto per addetti ai lavori. È arrivato il momento di cambiare posizionamento all’arte stessa, riaprirla alla società per liberare le sue potenzialità antropologiche in un momento storico che ha bisogno del suo modo di pensare e di creare, prezioso antidoto all’intelligenza artificiale.