Nel XX secolo alle arti visive tradizionali, basate su processi produttivi manuali, si è progressivamente affiancata un’arte che focalizza i processi concettuali e cerca di restituirne una forma fisica, materica ma anche elettronica. Marcel Duchamp inaugura una direttrice concettuale che diventerà dominante nell’arte contemporanea, spostando il focus dalla creazione di opere materiali alla visualizzazione di processi mentali.

Se la Conceptual Art negli anni Sessanta si sforza di concretizzare concetti astratti in opere fisiche, l’arte elettronica da decenni esplora la dimensione immateriale dell’arte. Dagli anni 70 si diffondono forme d’arte che usano tecnologie elettroniche, che presto sfoceranno in tecnologie digitali. Il filosofo J. F. Lyotard organizzò nel 1985 a Parigi la mostra “Les Immatériaux” che indagava il rapporto tra arte e tecnologia.

Ubiqua, il primo network planetario dell’arte, allestito nel 1986 dalla Biennale di Venezia, fu un momento di riflessione sui primi sviluppi di ciò che oggi viene definito arte digitale. Gualtiero e Roberto Carraro, partecipando all’esposizione Ubiqua con altri artisti, diffusero in rete una serie di ricerche sulla logica della generazione digitale di immagini. In quegli anni, quando ancora il world wide web non esisteva, si compivano le prime indagini sulla natura artistica dei processi digitali, come le interfacce iconiche, gli ipertesti, e la generazione di immagini tramite AI.

L’arte digitale include la computer art, l’arte multimediale”, la net art, l’installazione immersiva, la realtà virtuale e il metaverso, con i recenti sviluppi degli NFT, (Non-Fungible Token) token digitali unici che con la tecnologia block chain garantiscono l’unicità e la proprietà di un bene digitale. Con opere come Everydays di Beeple, venduta dalla casa d’aste Christie’s nel 2021, l’arte NFT è entrata prepotentemente nel mercato, ma permangono dubbi sul valore artistico e sul ruolo dell’artista. Il mercato degli NFT – un tempo al centro di questa trasformazione – ha vissuto un rapido ridimensionamento. Peraltro i limiti immateriali dell’arte digitale ne hanno sempre circoscritto il mercato a pochi collezionisti. Molti artisti digitali, come l’americano Bill Viola, o gli italiani di Studio Azzurro, hanno concentrato le loro attività in spazi pubblici, privilegiando come interlocutori le istituzioni rispetto alle gallerie e ai collezionisti privati. Questa dimensione pubblica dell’arte digitale, in installazioni “onsite” immersive o in metaversi online, è una caratteristica importante che va considerata se proviamo a immaginare un nuovo posizionamento dell’arte contemporanea all’epoca dell’Homo extensus.

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