Tornando alla Grecia, nell’opera “L’invenzione della mitologia” Marcel Detienne descrive la strategia di esclusione della cultura arcaica e tribale, basata sulla oralità da parte del nuovo sapere scritto: “la verità del discorso efficace della storia ‘utile’, è una verità scritta. Ma è anche una memoria nuova, depurata dalle falsificazioni del sentito-dire, salva dalle tentazioni del piacere di ascoltare e mettersi a raccontare”. I Greci, dice Detienne, hanno “due teste”: una mitica e una filosofica. “La loro cultura sorprendente offre lo spettacolo di un pensiero mitico che, superandosi dal proprio interno, accede a una logica delle forme, a partire dalla quale il greco, munito del concetto, comincia a farsi interprete della propria mitologia”. In Grecia la tecnologia alfabetica investe diversi ambiti del sapere: “Sono alcuni gruppi ristretti, gli ambienti intellettuali – filosofi, medici, logografi, tutti pratici di prosa – a mettere a profitto le virtù critiche della scrittura.”
La rivoluzione filosofica è una estensione intellettiva, che però fa registrare anche una perdita: “Quando la parola viva di un popolo o nazione, trova la sua pienezza e unità nel verbo mitologico, imporle il marchio della scrittura significa mutilarla. La grafia altera lo splendore altisonante della parola, deforma la voce del mito, snatura la rivelazione mitologica.” Ma il passaggio è netto, e irreversibile:” Tra la parola vissuta del mito e la tradizione scritta c’è una distanza che non si lascia colmare.”
Una nuova intelligenza, abilitata dalla scrittura, si fa strada e rimuove la mentalità precedente del mito, accusata di superstizione, arcaicità, demenza.