I social media hanno contribuito in maniera decisiva a demolire la struttura e l’architettura della mediazione culturale nella società tradizionale. Le organizzazioni sociali che svolgevano un ruolo di mediazione culturale – come ad esempio la scuola, la famiglia, i mass media, la chiesa, i partiti politici – sostanzialmente sono stati cancellati nel loro ruolo gerarchico, cioè nella funzione chiave di mediatori tra la popolazione e la cultura ufficiale.

Tutto è stato appiattito nelle piattaforme social e partecipative: in esse il profilo di qualsiasi utente è diventato di pari autorevolezza in rete rispetto a grandi strutture che da secoli sono operanti nelle società come punti di riferimento, come la Chiesa Cattolica o come i giornali o le università. Avviene così che, nella fruizione quotidiana dei contenuti pubblicati attraverso i social media, qualunque post ha potenzialmente pari peso e pari dignità rispetto a un altro. L’utente oggi ha accesso ai post in maniera indiscriminata e senza alcuna mediazione che in qualche modo lo aiuti a discernere qualità o affidabilità dei post stessi.

Se si analizza poi la modalità di fruizione della più popolare piattaforma AI, ChatGPT, si può verificare come, nella prima fase del suo utilizzo, milioni di studenti lo stiano utilizzando per farsi sostituire e farsi scrivere ricerche e riassunti al loro posto, realizzare traduzioni automatiche e riuscire così a superare prove ed esami senza aver studiato per essere preparati e aver acquisito le conoscenze richieste. In questa situazione dagli esiti verosimilmente infausti per la costruzione del sapere e delle competenze, si rende necessaria una mediazione didattica, sia da parte dei docenti, sia fornendo allo studente utilizzando contenuti e contenitori tecnologici espressamente progettati per fornire un accesso corretto all’intelligenza artificiale.

Anche i gravi danni psicologici legati all’isolamento digitale del Covid devono metterci in guardia dall’affidare la crescita culturale dei giovanissimi a una tecnologia che può portare la persona a perdere, insieme alla capacità di relazionarsi con i propri simili, quelle abilità personali che la rendono libera, a disimparare a scrivere, far di conto, a parlare lingue e a comprendere testi, in un potenziale rapporto innaturale e individuale tra studenti e macchine. Il ragazzo lasciato da solo di fronte alla superpotenza della piattaforma digitale è un paradigma già testato negativamente con gli smartphone; la mediazione della comunità educativa, in primis della scuola, soprattutto là dove la famiglia è latitante, è fondamentale.

La comunità educativa deve recuperare il ruolo di mediazione culturale tra la rete – web e AI – e le nuove generazioni, per evitare i rischi dell’isolamento degli studenti lasciati soli in dipendenza dalle piattaforme digitali.

L’immagine è rilasciata sotto licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0). Opera di Gualtiero e Roberto Carraro – Homo Extensus. Riportare citazione degli autori e link alla pagina originale.