Nel saggio Homo Ludens l’antropologo Johan Huizinga analizza la dimensione ludica come generatrice della cultura umana.
Il gioco è più antico della cultura, perché gli animali non hanno dovuto attendere che fosse l’uomo a insegnare loro a giocare, si tratta quindi di una manifestazione pre-umana.
Nelle prime forme di civiltà umana la cultura sorge in forma ludica, la cultura è dapprima giocata.
La cultura inizia non come gioco e non da gioco, ma in gioco.
Anche quelle attività che sono indirizzate alla soddisfazione di bisogni vitali, come per esempio la caccia, nella società arcaica assumono di preferenza forma ludica.
Nell’istinto agonale non ci troviamo di fronte a una volontà di dominio, essenziale è l’aspirazione a superare gli altri, essere i primi ed essere onorati.
Con i giochi la vita sociale si veste di forme sopra-biologiche che le conferiscono maggior valore.
Per Huizinga la cultura, nelle sue fasi originarie, reca il carattere di un gioco.
Le due sfere, del gioco e della cultura, sono collegate fin dall’antichità: per i Greci il termine “Paideia” – da cui deriva pedagogia – esprime il gioco infantile. I giochi del sapere sono tipici di tutte le civiltà, dagli indovinelli agli enigmi, dalle dispute filosofiche a quelle teologiche. Fin dal tempo remoto il filosofo si è presentato come un competitore tipico, che sfida i suoi concorrenti. I primi saggi filosofici sono polemiche agonali. Queste analisi permettono di progettare forme di educazione che collegano il gioco all’apprendimento, al sapere.
Nell’ambito digitale il gioco assume la forma del videogame, un media che ha raggiunto numeri colossali a livello globale.
L’utilizzo abituale e continuo di videogame, tuttavia, viene spesso considerato un problema per un giocatore in età infantile o adolescenziale e quindi in fase di apprendimento: la comunicazione che proviene da un insegnante può risultare infatti non sempre recepibile per un giovane abituato a elaborare frequentemente messaggi prettamente visivi. (La parte che segue potrebbe essere meglio collegata ed esposta come motivo che può portare i ragazzi a giocare per ore ogni giorno:) Dal punto di vista espressivo, il linguaggio del gameplay (“esperienza di gioco”, giocabilità) ha dei tratti distintivi che lo rendono unico tra i media narrativi tradizionali: l’interattività distingue i videogiochi dalle altre forme d’intrattenimento mediale di massa come la musica, il cinema, la televisione; proprio tale caratteristica permette al videogioco di esercitare un potenziale di immersività, coinvolgimento e attrazione che altri media non hanno. L’uso dei videogiochi a scuola è stato sperimentato da tempo. Ci si chiede sa il videogioco può essere è utile per esercitare l’approccio allo studio di alcune discipline o ad esempio di interiorizzare regole e valori.
Dal punto di vista didattico, un genere significativo è quello del gioco simulativo, basato sulla simulazione delle regole del mondo reale. Chi sviluppa un gioco orientato su questo genere sa che il giocatore vuole investire anche ore del proprio tempo giocando a qualcosa di inedito e molto difficile. Un gioco di guida con la reale rappresentazione della fisica, oppure un gioco di guerra dove con un solo colpo la partita finisce, sono esempi significativi. L’attività conoscitiva che un giocatore svolge all’interno di un videogioco ha alcuni aspetti del metodo scientifico e sperimentale.
Nei videogame sta affermandosi rapidamente l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale, ad esempio per simulare capacità conversazionali e adattive nei personaggi virtuali (Non-Playable Character) che interagiscono con il giocatore.