Le mostre immersive sono uno dei fenomeni più recenti e vivaci dell’industria culturale moderna, e si stanno affermando per la loro capacità di coinvolgere efficacemente un pubblico più ampi delle mostre convenzionali. La realizzazione di videoinstallazioni non è certo una novità, in quanto è riconducibile alla video art degli anni Settanta, con protagonisti come Bill Viola o Studio Azzurro, tuttora attivi. In particolare Studio Azzurro ha saputo declinare il linguaggio delle video installazioni in vari comparti, dalla storia alla musica, dalla religione alla società, mantenendo sempre un profilo culturale ed estetico elevato. Queste mostre tecnologiche, prive di opere fisiche originali, sono in grado di modificare in modo rilevante la comunicazione e la divulgazione dei beni culturali. La dicotomia tra opera originale e copia è già stata metabolizzata dal mondo della critica d’arte fin dal 1936, data di pubblicazione del saggio “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” di Walter Benjamin. Le mostre virtuali hanno un valore in sé, anche in assenza di opere fisiche; il problema è semmai la qualità del linguaggio digitale, della concezione e del trattamento. Spesso le mostre immersive hanno punti deboli nella superficialità dei contenuti, pensati per una pura fruizione emozionale, e nel linguaggio, che non sfrutta appieno le potenzialità messe a disposizione dalla tecnologia e banalizza il contenuto. Paragonate alle mostre d’arte tradizionale, che mantengono comunque l’”aura” dell’opera originale, spesso queste mostre tecnologiche evidenziano il livello culturale troppo basso, inaccettabile per gli standard qualitativi contemporanei: si nota frequentemente l’assenza di una chiave critica, di una profonda conoscenza e interpretazione del soggetto, e di una padronanza artistica del mezzo. Per questo è necessario che gli autori delle mostre immersive sviluppino in parallelo competenze culturali e tecnologiche, per fare crescere un comparto che avrà un ruolo rilevante nel futuro della valorizzazione dei beni culturali. È uno dei fronti in cui si misurerà l’Homo Extensus”, e che necessita formazione specializzata, che focalizzi le nuove opportunità offerte dall’intelligenza artificiale generativa.
