Nella nostra società occidentale ormai secolarizzata, abbiamo ancora diversi assistenti spirituali ed etici condivisi da diversi gruppi sociali. In passato l’esigenza di un interlocutore riservato a cui confidare i propri dubbi e problemi era soddisfatta, ad esempio per i cattolici, dall’esistenza di un confessore. Il ruolo dei preti e dei santi è stato poi nel tempo per gran parte occupato da altre figure, come gli psicologi o gli influencer nei social.

Se una delle principali “user experience” dell’AI generativa è l’interazione con interfacce conversazionali, ecco che abbiamo trovato qualcun altro con cui parlare. Le garanzie di privacy non sono ancora tali da definire l’AI un confidente riservato, ma ci si potrebbe arrivare presto.

Se accetteremo di fidarci dei risultati analizzati dalla visione artificiale per un esame oncologico, sapendo che tali risultati saranno molto più affidabili di quelli che potrebbe formulare un medico umano con competenza media, perché non potremmo voler estendere questa fiducia ad altri ambiti personali e riservati? Non è quindi del tutto impensabile prevedere l’avvento di “spiritual assistant” alimentati dall’Intelligenza Artificiale.

Ma ecco che questo ripropone con forza il tema che riguarda come definiamo la natura stessa dell’intelligenza, o meglio della sapienza. Ancora ci chiediamo se quella artificiale potrà uguagliare l’intelligenza o addirittura la sapienza umana.