L’Imitation Game è la Interface Metaphor di maggiore successo nell’AI generalista e conversazionale.
Essa nasconde però una contraddizione di fondo: si tratta di un’interfaccia uomo-macchina, che invece si traveste da uomo-uomo.
Dal punto di vista ergonomico, l’Imitation Game fa parte della tradizione delle interfacce skeumorfiche, che imitano uno strumento – in greco skeuos (σκεῦος), perché la sua forma -in greco morphḗ (μορφή) – ricorda una funzione. Ad esempio in una interfaccia di un personal computer l’icona di una matita ci permette di scrivere, e l’icona di una gomma ci permette di cancellare.
Nei sistemi informatici grafici negli anni ’80, dominati dalla cosiddetta “metafora della scrivania”, il design skeuomorfico è utilizzato per le numerose icone utilizzate nelle interfacce utente grafiche: cartelle, documenti, cestini, e così via.
Gli skeuomorfi virtuali possono anche essere uditivi, come il suono del clic dell’otturatore emesso dai cellulari con fotocamera quando si scatta una foto. Oppure il suono della carta che si accartoccia quando un documento viene cestinato. Ma con l’Imitation Game l’interfaccia riguarda l’uomo stesso: la macchina assume la forma dell’uomo per simulare la sua capacità di esprimersi e ragionare.
Questo passaggio può risultare estremamente pericoloso. Nessuno può essere ingannato da un’icona che simula una cartella, o da un suono che simula un clic fotografico.
Tutti però rischiamo potenzialmente di essere ingannati da una voce che è indistinguibile da quella umana, sviluppa discorsi verosimili e viene emessa da labbra facenti parte di un volto umano realistico.
Il rischio riguarda in particolare i bambini, le persone impressionabili o con una scarsa familiarità con la tecnologia, le persone con disabilità psichiche. Occorre alzare una barriera protettiva rispetto all’Imitation Game, tenendo conto della sua capacità di alimentare aberrazioni sui piani psicologico, legale, educativo e antropologico.