Nonostante l’enfatica esaltazione della “società dell’informazione”, confermata dall’entusiasmo speculativo per l’avvento dell’Intelligenza Artificiale, gli ultimi decenni di esposizione delle nuove generazioni ai media digitali non hanno portato a un’estensione, ma piuttosto a una riduzione dell’intelligenza umana, come dimostrano recenti rilevazioni dell’andamento del Quoziente Intellettivo in alcune fasce della società in cui sono state condotte delle ricerche.
L’andamento del Quoziente Intellettivo (QI) dei popoli viene ricondotto al cosiddetto effetto Flynn, secondo il quale il valore del quoziente intellettivo medio della popolazione aumenta nel corso degli anni e delle generazioni, con una crescita media di circa 3 punti per ogni decennio. Ciò è avvenuto fino all’inizio del nuovo millennio, quando in alcune nazioni questo trend si è invertito: soprattutto nei paesi sviluppati sono stati rilevati valori medi di quoziente d’intelligenza inferiori rispetto ai decenni precedenti.
Questa tendenza è stata confermata anche dal PIAAC (Programme for the International Assessment of Adult Competencies), un programma ideato dall’OCSE, che ha realizzato un’indagine in Italia su circa 12.000 persone. Il nostro paese è risultato tra i più colpiti dall’analfabetismo funzionale, cioè dall’incapacità di comprendere, valutare e usare le informazioni a disposizione.
Gran parte degli studi dimostrano che un’eccessiva esposizione dei giovani agli schermi, in particolare smartphone e social media con i relativi algoritmi, ha impatti negativi sul loro sviluppo cognitivo.
Non a caso i cellulari e i Social vengono vietati nelle scuole e nelle famiglie non solo nell’infanzia ma ormai anche nella preadolescenza. È significativo il fatto che i proprietari delle grandi piattaforme globali, da Meta a Google e Microsoft impediscono ai propri figli l’uso delle stesse fino ad un’età adeguata.
Nel caso dei Social Media, siamo di fronte a un caso evidente di un utilizzo di sistemi di AI che non estendono, ma riducono l’intelligenza umana.
Diversi algoritmi e interfacce espongono gli utenti dei Social a fattori di costante distrazione, interruzione della concentrazione e riflessione, riduzione dello spettro di informazioni e di opinioni, oltre a dispensare fake news. Vengono così utilizzati degli imbuti semantici, così come lo scroll continuo, dei format video sempre più corti, delle raccomandazioni semantiche, delle pubblicità contestuali, della diffusione di informazioni fake e sensazionaliste, al solo fine di aumentare la monetizzazione del tempo dedicato e del numero di click nelle piattaforme.
L’Intelligenza Artificiale comporta rischi ancora maggiori, in particolare legati a una possibile atrofia delle facoltà intellettuali. Ad esempio, gli studenti che già oggi utilizzano ChatGPT per evitare di compilare temi o riassunti e per tradurre automaticamente le lingue, rischiano di perdere la capacità di scrivere e di apprendere le lingue straniere. Se non abbiamo bisogno di una facoltà, tendiamo a perderla. I racconti orali pre-omerici duravano giorni e venivano raccontati a memoria; con l’avvento dell’alfabeto, questa facoltà mnestica è andata perduta, per fortuna, in questo caso, dando spazio ad altre facoltà mentali.
La diffusione di massa di sistemi come ChatGPT rischia di trasformarsi in un processo di atrofia mentale ancora più grave dei Social Media, perché vengono sostituite ed evitate le attività di scrittura, sintesi, traduzione: attività queste che favoriscono una crescita delle facoltà intellettive.
Per scongiurare del tutto o almeno in parte questi rischi, la comunità educativa deve riacquisire il controllo della sfera digitale, diventando il mediatore culturale tra le applicazioni in rete e le nuove generazioni.
Ciò può avvenire innanzitutto a scuola, oltre che con un ricorso alle attività didattiche tradizionali, attraverso un processo di Content Curation che educa a riconoscere le fonti corrette, selezionare i contenuti utili, organizzare l’accesso alla rete.
Solo un’attenta gestione dell’avvento dell’AI potrà ridurre i rischi e valorizzare le risorse, per condurci alla dimensione dell’Homo Extensus.