Esiste una forma subdola e strutturale di disturbo del processo di lettura dei contenuti, che è l’ipertestualità stessa, il fatto cioè che i contenuti non sono presentati in una forma sequenziale, unitaria e approfondita, ma quasi sempre appaiono come piccole pagine o moduli di contenuto estremamente sintetici tra loro correlati con link.
L’ipertesto nasce addirittura prima di Internet (in Italia negli anni ’80 nacque il primo Hypertext User Group a Milano, a cui gli autori avevano partecipato) ma diventa sin dall’inizio il linguaggio alla base del web: l’HTML, acronimo di HyperText Markup Language (traduzione letterale: linguaggio a marcatori per ipertesti).
L’HTML è un linguaggio di pubblico dominio, la cui sintassi è stabilita dal World Wide Web Consortium (W3C). Alcuni studi hanno analizzato l’impatto dell’ipertesto sulla capacità di concentrazione e di approfondimento. In generale la lettura in rete raramente arriva al livello di approfondimento consentito da un libro cartaceo. L’ipertesto per eccellenza, il world wide web, però, abilita l’accesso immediato ad un patrimonio illimitato di informazioni, favorisce le comparazioni tra varie fonti, la velocità nello spostarsi da un argomento all’altro, la possibilità di avere immediate esplicazioni di termini, liberi percorsi di approfondimento che su carta diventano complicati. Per cui la sfida tra libro cartaceo e web ipertestuale resta aperta. È irragionevole pensare che l’umanità, di fronte ai limiti cognitivi dell’ipertesto e del world wide web, torni al libro cartaceo. Sarebbe logico concentrarsi su tali limiti, e provare a superarli. Progettando forme di ipertesto in grado di sviluppare forme di pensiero profonde. L’avvento dell’intelligenza artificiale generative, che si alimenta del web, sposta il confronto con il libro in nuovi contesti, abilitando esperienze conversazionali e operative che né il libro né l’web rendevano possibili. È uno degli obiettivi del progetto “Homo Extensus”.