L’avvio del secondo mandato del presidente Donald Trump ha segnato una svolta nella politica commerciale e industriale della maggiore potenza mondiale.

Secondo alcuni osservatori, dietro ai dazi e all’alleanza con i leader delle multinazionali tech, si intravede una strategia globale finalizzata a modificare profondamente le logiche della globalizzazione, rifondando la leadership statunitense su nuovi principi.

Il reshoring, o rilocalizzazione che dovrebbe favorire la ricostruzione di una capacità industriale nel territorio americano, in realtà non riporta al centro il lavoro, ma punta a valorizzare la nuova sovranità tecnologica basata sull’automazione intelligente. L’azione americana può essere letta alla luce di questa trasformazione: un capitalismo post-lavoro.

L’Intelligenza Artificiale diventa l’asset chiave: l’algoritmo sostituisce la fabbrica come unità centrale della valorizzazione. Con la robotica autonoma l’efficienza non dipende più dalla massa operaia, ma dall’architettura del software. 

Il capitale, che per decenni ha chiesto più apertura dei mercati, oggi si chiude in sé stesso. Non perché sia in crisi, ma perché non ha più bisogno di minimizzare il costo del lavoro attraverso la mobilità produttiva, che aveva portato a delocalizzare la produzione nei paesi emergenti a basso costo di manodopera.

In quest’ottica si inserisce anche la serie di annunci sui Robot multifunzionali integrati con l’AI, come Optimus, un umanoide robotico multiuso in fase di sviluppo da parte di Tesla.

Quella logica che giustificava l’apertura illimitata dei mercati e l’importazione di prodotti a basso costo dall’esterno non è più necessaria nell’era dell’Intelligenza Artificiale e della robotica autonoma.

Il capitale può d’ora in poi produrre valore in modo selettivo (scegliendo quali tecnologie e comparti gestire con la nuova logica produttiva), territoriale e sovrano (in una logica meno dipendente dall’esterno, in alcuni casi autarchica).