L’arte segue da millenni l’evoluzione dell’intelligenza umana. Ben prima della scrittura, l’arte registra l’intelligenza, la estrae dal corpo, la rende condivisibile, spesso trasportabile ed eterna. Non si tratta però di intelligenza verbale, come nel caso dell’alfabeto, ma di intelligenza visiva, o, più complessivamente di intelligenza corporea. Gli studiosi di paleoantropologia riconducono le più antiche forme d’arte ad un contesto performativo che coinvolge più sensi: le pitture rupestri di Lascaux erano probabilmente parte di rituali multisensoriali, perduti per sempre. Ma anche solo la componente visiva, che possiamo ancor oggi ammirare, provoca reazioni potenti, riconduce le nostre sinapsi a quel mondo originario, in qualche modo riattiva in noi l’intelligenza dei primi Homo Sapiens.

Questo potere misterioso dell’arte di coinvolgere la nostra mente tramite oggetti fisici, misterioso quanto lo è la connessione profonda tra il linguaggio e le immagini, è rimasto intatto. Negli ultimi decenni, anzi, la fisicità dell’opera d’arte è stata potenziata, ed è diventata centrale nei movimenti artistici più recenti. Basti pensare alla materialità e alla gestualità della pittura informale del secondo dopoguerra, alla presenza di oggetti, ambienti e performance nell’arte povera, all’espansione di opere nel territorio con la Land Art. L’arte mantiene e manterrà una sua autonomia dall’intelligenza artificiale proprio per la sua natura “logosomatica”, cioè di pensiero corporeo, concretizzato nelle opere.